INFORTUNIO SUL LAVORO, alterazione alcolica e nesso causale: pronuncia della Cassazione Penale del 30 settembre 2021, n. 35858

STUDIO LEGALE
INFORTUNIO SUL LAVORO, alterazione alcolica e nesso causale: pronuncia della Cassazione Penale del 30 settembre 2021, n. 35858

La responsabilità del datore di lavoro non è esclusa nemmeno qualora l’incidente sul lavoro sia stato determinato dallo stato di ebbrezza dell’infortunato. È questo, in sintesi il significato della pronuncia della Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2021, n. 35858; Sentenza la quale ribadisce che non può esserci esonero della responsabilità datoriale all’interno della c.d. “area di rischio”, anche in caso di sussistenza di possibili comportamenti rimproverabili al lavoratore.

All’indomani del raggiungimento della spaventosa soglia di mille morti bianche sul lavoro nei primi dieci mesi del 2021, comprendiamo che la prevenzione e la vigilanza efficacemente attuate da parte dell’impresa datrice di lavoro si presentano come strumenti essenziali per porre rimedio alla situazione infortunistica emergenziale nella quale attualmente si trova il nostro Paese. Segnatamente, il caso di specie che ci accingiamo ad analizzare, fissa il principio secondo il quale il datore è tenuto a porre in essere una vigilanza continua ed effettiva sul rispetto delle disposizioni a tutela della salute nei luoghi di lavoro da parte dei propri dipendenti.

Anzitutto, è utile riportare brevemente la dinamica dei fatti e le vicende inerenti le pronunce dei Tribunali di merito che portarono il datore di lavoro a ricorrere al terzo grado di giudizio. L’incidente sul lavoro che portò alla tragica morte per schiacciamento dell’infortunato si verificò all’interno di una azienda agricola. Il lavoratore, nonostante il suo stato di ebbrezza, salì alla guida di un trattore agricolo e, a seguito di una manovra dello stesso, il mezzo si ribaltò e il guidatore rimase schiacciato dopo essere sbalzato dalla cabina di guida a causa del mancato allacciamento del presidio di sicurezza costituito dalla cintura di sicurezza.

Il Giudice di primo grado del Tribunale di Rovigo condannò il datore di lavoro per omicidio colposo commesso con violazione delle norme prevenzionistiche sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (di cui all’art. 589 comma 2, cod. Pen.), benché riconobbe il concorso di colpa della vittima. La condanna è stata confermata in secondo grado presso la Corte d’Appello di Venezia competente territorialmente, prevedendo una rideterminazione della pena in favore del datore di lavoro.

Ciò premesso e preso atto della insoddisfazione della parte soccombente, il datore di lavoro ha proposto ricorso avverso la Sentenza d’appello avanti alla Corte di Cassazione contestando il vizio della motivazione in relazione a due aspetti: contro l’inosservanza delle norme antinfortunistiche rimproverata alla parte datoriale, e dall’altro canto, l’incidenza del comportamento del lavoratore sul nesso causale sussistente tra la condotta omissiva contestata e l’evento, non condividendo l’affermazione secondo cui lo stato di ebbrezza del lavoratore avrebbe investito un ruolo di mera concausa nella determinazione dell’evento infortunio.

Quanto al primo punto, la difesa ribadisce che il sistema attualmente vigente è di tipo collaborativo e  presuppone, nell’attuazione delle misure prevenzionistiche, obblighi e impegni anche a carico del lavoratore, tenuto a curarsi della propria salute e sicurezza. L’azienda aveva adeguatamente formato i propri dipendenti in relazione ai rischi specifici del caso, fornendo i dispositivi di sicurezza e redarguendo i lavoratori inosservanti delle disposizioni impartite (intimando all’impiego della cintura di sicurezza). La parte datoriale sostiene che a questo punto doveva entrare in gioco la collaborazione sopra menzionata da parte del lavoratore, cosa che nel caso di specie evidentemente non avvenne.

Tuttavia, la Corte argomenta che il punto chiave della questione è il mancato controllo del datore sull’osservanza dell’obbligo di indossare la cintura di sicurezza. Sul punto, non assume alcuna rilevanza la estesa dimensione dell’azienda e la conseguente impossibilità del datore di essere presente e vigilare su tutti i fondi, in quanto egli avrebbe dovuto deputare tale compito a soggetti preposti. Per giunta, il datore era a conoscenza della prassi lavorativa incurante delle disposizioni antinfortunistiche (nello specifico, di allacciare la cintura di sicurezza alla guida del trattore), tuttavia si limitò a meri richiami verbali del tutto inadeguati, senza predisporre un più efficace sistema di controllo anche mediante apposite procedure.

Per quanto concerne il secondo aspetto, la difesa sostiene che una condizione di lucidità avrebbe indotto il lavoratore a valutare di allacciare la cintura e di evitare la manovra grossolana approntata o, quanto mento, a porvi immediato rimedio. Eppure, il Giudice ritiene che, in primo luogo, il lavoratore abbia agito nel contesto delle mansioni espressamente assegnategli (quindi all’interno della c.d. area di rischio) e che in secondo luogo, lo stato di alterazione alcolica, sebbene abbia contribuito al verificarsi della manovra grossolana che comportò il ribaltamento del trattore, non abbia spezzato il nesso causale sussistente tra la mancata vigilanza del datore sull’allacciamento della cintura e l’evento mortale verificatosi proprio a causa di suddetta inosservanza.

Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso presentato dal datore di lavoro, ritenendo il motivo infondato sotto entrambi i profili.

Le conclusioni che possiamo trarre da tale Sentenza sono riconducibili a due ordini di idee. Anzitutto, è stato fissato il principio secondo il quale l’obbligo che grava sul datore di lavoro di vigilare sull’osservanza delle norme antinfortunistiche da parte di propri lavoratori può considerarsi assolto solamente se l’azienda ponga efficacemente in essere un sistema di controllo effettivo, che tenga conto delle prassi seguite di fatto di lavoratori. In secondo luogo, la Sentenza stabilisce che lo stato di ebbrezza non rappresenta una condotta eccentrica e anomala del lavoratore tale da spezzare il nesso causale tra l’omissione rimproverabile al datore e l’evento infortunio mortale, evidentemente verificatosi a causa di una mancata vigilanza.

Quindi, se ne può inferire che, appunto, solo sulla scorta di un sistema di controllo effettivo, rectius, provando di aver posto in essere tutte le misure di prevenzione più adeguate, il datore di lavoro può andare assolto da imputazione di responsabilità.

avv. Enrico Barbaresco